Di Luca Scutti

IL DIVIN TABERNACOLO

Sono dentro la mia essenza,

la mia entità,

la mia esistenza,

la mia condizione,

la mia vita,

sono la penna di un uomo,

e non posso cessare il compiersi,

anche se continuano a bandire l’anima,

anche se continuano a sterminare la vita,

dentro questa “estate”

che non è più “estate”,

dentro questa “estate”

troppo bollente e dannata…

“Padre mettimi in salvo,

padre liberami,

padre sanami,

padre difendimi,

padre custodiscimi

dentro il tuo tabernacolo vivente,

padre vigila le mie notti,

padre curami,

padre nascondimi…”

 

Non sono mai stato un santo,

non sono mai stato un soprannaturale,

non sono mai stato beatificato,

non sono mai stato un angelo,

ma non sono mai stato un maledetto,

ma non sono mai stato un malvagio,

ma non sono mai stato un corrotto,

ma non sono mai stato una canaglia,

ma non sono mai stato un infame,

ma non sono mai stato uno stendardo

sventolato dal vento,

dentro questa “estate”

che non è più “estate”,

dentro questa “estate”

troppo bollente e dannata…

“Padre mettimi in salvo,

padre liberami,

padre sanami,

padre difendimi,

padre custodiscimi

dentro il tuo tabernacolo vivente,

padre vigila le mie notti,

padre curami,

padre nascondimi…”

 

Continuerò a seguire le stelle,

sarò sempre accompagnato da “loro”,

andrò nel giusto verso,

accetterò,

accoglierò,

abbraccerò,

anche le notti svanite,

anche le notti prive di senso,

anche le notti balorde,

dentro le ore notturne,

quelle più profonde,

quando accendi la luce del tuo comodino,

e le lancette del tuo orologio

sono continuamente posizionate

sopra lo stesso numero

di sempre:

Le tre…

E’ una sentenza!

 

L’oscurità di quella stella,

il suo buio,

la tenebre,

al crepuscolo mi preparerò

col mio canto di uomo insicuro,

il mare mi bagnerà,

mi costeggerà,

mi attraverserà,

accanto il fluttuare di petali di rose,

il loro veleggiare,

le loro spine dal dolore acuto,

sono fitte e punture al cuore,

la pena e il dolore che eleva l’uomo,

la sofferenza e il tormento che solleva,

edificare un’anima,

la nobiltà,

l’innalzarsi,

e poi distinguersi

dentro quella scintilla,

dentro questa “estate”

che non è più “estate”,

dentro questa “estate”

troppo bollente e dannata…

“Padre mettimi in salvo,

padre liberami,

padre sanami,

padre difendimi,

padre custodiscimi

dentro il tuo tabernacolo vivente,

padre vigila le mie notti,

padre curami,

padre nascondimi…”

 

Il poeta vagabondo senza patria,

errante e disordinato,

qual’è la sua vera terra d’origine,

qual’è il suo paese natale,

qual’è stata la sua culla,

l’infanzia di quelle strade battute,

strade così tanto amate,

le strade celestiali,

le strade dell’amore

di mio padre e di mia madre,

strade sante.

 

Poi

ecco

le strade colpite,

le strade percosse,

le strade schiacciate,

i percorsi pesti,

i percorsi persi,

i percorsi inesplorati,

i percorsi triti e ritriti,

sempre tutti uguali,

nessun angelo sotto il Cielo,

nessun messaggero,

nessuna intelligenza Celeste.

 

Poi

ecco

i percorsi spezzettati,

i marciapiedi di plastica,

i marciapiedi ridotti in briciole,

i pezzetti di cuori agli angoli,

i marciapiedi ripetuti e scontati,

i marciapiedi molto conosciuti,

popolari,

famosi,

sperimentati,

posseduti,

marciapiedi tossici,

le tavole imbandite

e allestite

dal “passami il vino”,

dal “passami il pane”.

 

Poi

ecco

le soste velenose,

i volti di latta,

gli uomini inscatolati stagnanti,

dentro questa “estate”

che non è più “estate”,

dentro questa “estate”

troppo bollente e dannata…

La pioggia che cade

e non sali,

stai scendendo,

la pioggia che cade

e non ti sollevi,

stai subendo te stesso

e ti stai abbassando,

la pioggia che cade

e non rinasci,

stai morendo…

 

“Padre mettimi in salvo,

padre liberami,

padre sanami,

padre difendimi,

padre custodiscimi

dentro il tuo tabernacolo vivente,

padre vigila le mie notti,

padre curami,

padre nascondimi…”

 

Ci sono

stelle da seguire,

l’uomo

sul marciapiede,

la rosa

e le sue spine,

le strade

bagnate,

il poeta

che impazzisce,

il dolore

che eleva,

il santo

e il dannato,

l’Ave Maria

che si muove,

l’Ave Maria

che si reca,

l’Ave Maria

che penetra,

l’Ave Maria

destinata ad ogni uomo,

l’Ave Maria

gradita,

l’Ave Maria

soavissima,

l’Ave Maria

che sussurra al vento

con aure profumate,

l’Ave Maria

che raccoglie l’anima errante.

 

L’Ave Maria

splende nella pienezza

dello Spirito Santo,

la sua misericordia è grande,

l’Ave Maria

ci conduce a “Lui”,

ci guida,

ci accompagna,

questa notte sento l’odore

dei profumi della Sua santità,

le Sue esalazioni,

il Suo aroma,

la Sua fragranza,

la Madre dei poveri,

gli umili,

i piccoli,

i piccolissimi,

i disgraziati,

i carenti,

gli insufficienti sui banchi di scuola,

gli insufficienti fuori dalla porta,

la Madre dei peccatori,

la Regina della misericordia,

la Regina della compassione…

dentro questa “estate”

che non è più “estate”,

dentro questa “estate”

troppo bollente e dannata…

“Il Migliore 

dove posso trovarlo?

Il Vero Infinito 

dove posso trovarlo?

La vera pace

dove posso trovarla?”

 

Non ti ho mai visto

vicino alla fiamma,

e allora

dimmi come puoi

dai tuoi occhi

spargere,

spandere,

effondere,

esprimere,

la scintilla di “quel” lampo,

poi ad un tratto un bagliore di Luce,

è la fiamma della scintilla…

TUTTO QUESTO

LO PUOI TROVARE

AI PIEDI

DEL

DIVIN

TABERNACOLO.”

 

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